Noi uomini siamo portati, per indole e per bisogno, a dare giudizi su qualsiasi cosa. Siamo tutti recensori, quindi. In questo caso, però, così come in tutti gli altri, ci sono profonde differenze fra un dilettante ed un professionista.
Scrivere un libro non significa semplicemente mettere tante parole insieme per creare una storia, un idillio, un qualcosa che poi possa essere pubblicato per l'effimero guadagno personale.
Scrivere un libro significa anche condividere le proprie esperienze, le proprie impressioni, le proprie impressioni ad altri.
Non viviamo forse nella continua speranza di trasformare i sogni in ricordi? Il "sogno" può essere rappresentato come un bel momento sedimentatosi nella nostra memoria, e che vogliamo trasmettere, condividere con altri. Questo è un meccanismo a cui tutti siamo soggetti, nessuno escluso.
Il discorso varia quando queste emozioni dobbiamo trasmetterle nel campo della professione: quando cioè dobbiamo passare dal giudizio personale a quello colletivizzante, dal piacere (individuale) alla tecnica (collettiva).
Il critico letterario.
Un critico letterario non legge (per poi recensire) soltanto quello che lo attrae (e quando ciò avviene è pura e ben accolta coincidenza, o almeno si spera), ma legge soprattutto libri di cui non conosce nulla, se non l'autore (e non sempre) e la casa editrice: che - comunque - rappresentano già due solidi pilastri entro i quali confinare almeno un'idea di ciò che lo aspetta. In questo momento, il nostro critico letterario non è solo un lettore (che solo a se stesso deve rendere conto di una suggestione e di un piacere intuito ed eventualmente confermato al termine della lettura), ma soprattutto un "tecnico": un professionista della lettura e, di conseguenza, provoca la partecipazione di altri al suo giudizio. Un giudizio che, ricordiamocelo, è destinato soprattutto ad un livello commerciale/economico: non è casuale che le case editrici "gareggino" per dare visibilità alle opere che pubblicano grazie a delle buone recensione, che hanno una valenza superiore rispetto alla pubblicità. Dunque, la recensione può essere anche intesa come uno strumento (ovviamente imperfetto) che può essere corrotto nel pieno della sua purezza. Teniamo in conto un primo fattore che è quello della mancanza di obbiettività assoluta da parte di ogni essere umano e teniamo in conto anche la corruzione che attanaglia la nostra società. Allora non parliamo più di un semplice parere che è stato reso pubblico alla partecipazione di ognuno di noi, certo che no. In questo caso la recensione è diventata uno strumento corrotto volto a valorizzare i pregi dell'opera, mistificandone i difetti e nascondendoli. In poche parole: il recensore può essere pagato affinché intervenga con un parere positivo sul libro (che può essere di per sé un'opera mirabile oppure una vera e propria schifezza) al solo scopo di incrementarne il flusso di vendite.
Cosa deve fare un bravo critico? (dieci punti per "imparare" a recensire un libro).
1) Il libro deve essere letto per intero. Qualcuno dirà che questa si tratta di una indicazione lapalissiana, ma monsieur Lapalisse è spesso sconosciuto a molti recensori che si accontenta di leggere qualche pagina per poi chiedere lumi sulla storia ha chi ha già letto il libro. (che schifo! Non mi ridurrò mai così).
2) Individuare l'idea base del libro, tagliando quindi fuori "organi" che, seppur vitali, non saranno mai in grado di trasmetterne l'essenza. Mi spiego meglio: "l'anima" de I promessi sposi è il concetto di divina provvidenza, mentre quella de I miserabili di Victor Hugo è rappresentata dalla sostanziale differenza fra miseria (condizione mentale) e povertà (condizione economica).
3) Dopo aver individuato "l'anima" del libro, bisogna cercare di comunicare al lettore non l'idea che si è fatto di essa, ma proprio l'anima stessa del libro: quella che ha spinto vari scrittori a scrivere diversi romanzi.
4) Sviscerata l'anima, si passa al contenuto della storia, raccontando in breve la vicenda, l'ambientazione e i personaggi. Attenzione: questa è un'operazione molto delicata, perché bisogna stare attenti a rifuggire dalla subdola trappola del banale riassuntino scolastico. Non bisogna cercare di narrare tutta la vicenda, ma solo i suoi contorni essenziali attraverso i personaggi principali, evitando così di svelare dettagli rilevanti per il corso della trama perché, altrimenti, rovineremmo la lettura a chiunque volesse comprare il libro.
5) Da dove si parte? Facile: dall'elemento "forte" della storia. Nel caso de I promessi sposi l'incontro di Don Abbondio con i "bravi" potrebbe essere una buona idea, successivamente si torna indietro da dove si era partiti per poi dipanare la matassa della storia, affrontando i vari personaggi ed evitando di fare "letteratura". Ricordiamoci che il lettore vuole leggere la storia scritta dall'autore, non dal recensore.
6) Per ciò che concerne la forma, se si conosce l'autore, la si analizzerà confrontandola con i precedenti scritti se invece è sconosciuto, bisogna cercare di cogliere elementi positivi - quali i moduli narrativi utili e la capacità dell'autore di risultare originale presentando un racconto ricco di elementi di novità -, ma anche quelli negativi: la piattezza del linguaggio, le imitazioni indecorose ecc.
7) Esistono anche i libri di poesie e anch'essi vanno recensiti, ma tale genere letterario richiede un recensore "culturalmente attrezzato" per un alto livello di sensibilità.
8) C'è anche il saggio, il "no-fiction" che risponde a ben altri criteri di valutazione: l'aspetto emotivo in questo caso è praticamente inesistente, e dunque l'interesse del critico si deve focalizzare sui contenuti e sulla capacità dell'autore di veicolare i concetti attraverso una forma semplice e diretta (a meno che non si tratti di un'opera destinata ad un pubblico già preparato specificatamente anche a livello lessicale: un esempio è costituito da testi universitari, trattati accademici ecc.).
9) Al termine della recensione (sia che si tratti di un romanzo, di un saggio o di un libro di poesie) il critico esprimerà il suo giudizio personale: dichiarerà se il libro gli è piaciuto o no. Ma, soprattutto, motiverà il questa sua opinione perché è un "tecnico".
10) Il punto finale: il lettore riconosce l'autenticità di una recensione, ne "percepisce" la puzza dell'imbroglio. (sì, in questi casi hanno un fiuto da cane!).
Se quindi il recensore cercherà di spingere a tutti costi un libro, esaltandolo e presentandolo per qualcosa che, in realtà, non è, il lettore si accorgerà subito di questa bieca operazione e il critico perderà ogni credibilità. (poverino!).
Ed è per questo che essere un buon critico significa - soprattutto- essere onesti col lettore (e con se stessi). Perché, in caso contrario, non si è più credibili. E ci si trasforma da critici in vermi, che per un pugno di soldi sono disposti a svendere il proprio parere (e, di conseguenza, anche la loro credibilità) "truffando", in un certo senso, il lettore. (ma che cattiveria!).
Lo Sparviero non perdona! È pronto a punire tutti i recensori cattivi cavando loro gli occhi dalle orbite e non è una cosa piacevole, garantisco io!
Per ora è tutto, spero di essere stato abbastanza chiaro.